Castel Campo

Autore: Patrick Franceschi
Durante la preistoria, all’epoca degli insediamenti di palafitte di Fiavè (fra il 2500 e il 1200 a.C. ) l’area dove sorge il castello era in « doss » sede di un castelliere comunitario, dove si rifugiavano uomini e greggi in caso di pericolo. I primi dati storici trasmessi da scrittori latini riferiscono che la zona era abitata dai Galli Cenomani e precedentemente dalla popolazione retica Stoni, che ai romani avevano dato parecchio filo da torcere nel 118 a.C., apponendo una resistenza talmente eroica da suscitare l’ammirazione del console Quinto Marzio Re che esonerò dalla schiavitù i sopravvissuti. Occupata la zona, i Romani posero presidi militari a Vigo e in altri punti strategici sotto il commando della Tribù Fabia, che durò cinque secoli fino alla caduta dell’Impero Romano nel 476 d.C.
Sull’antico castelliere costruirono un campo trincerato e una torre di guardia che controllava il guado del torrente Duina di cui passava una strada importante. Lucio Macrino della tribù Fabia dedicò al dio Silvano, patrono delle foreste, un’ara costruita nei boschi intorno al castello, che vennero considerati sacri. Nel medioevo, Ostrogoti, Longobardi e Franchi si avvicendarono nella zona lasciando la loro impronta nella lingua, nelle usanze, nell’arte e negli utensili ritrovati anche nei torrenti intorno al castello. Castel campo restava essenziale per il controllo della zona e la protezione della popolazione, isolato e nascosto tra il rio Rezola e il torrente Duina.
Nel 1190, il castello appare per la prima volta nelle cronache, con la famiglia Campo che lo capitanava e che per tre secoli contese potere e ricchezza ad altri ambiziosi signori della zona. In particolare gli Arco e i più accaniti Lodron, che all’inizio del 1400 riuscirono ad occupare il castello ma dovettero arrendersi ad Antonio e Nicolò Campo. Alcuni anni dopo Paride Lodron assediò nuovamente il castello, ma i Campo invece di arrendersi scelsero la morte, con donne, bambini e truppe fedeli. Riebbero poi il castello net 1423, solo per subire un nuovo attacco nel 1439 da parte dei Lodron che lo incendiarono,
Nel 1444 Graziadeo IV da Campo ne iniziò la ricostruzione che proseguì fino e oltre la sua morte ne 1457. In quell’occasione il castello, come sempre succedeva alla morte del titolare del feudo, tornò nelle mani del principe vescovo di Trento Giorgio Hack, che lo tenne per sé e per la sua famiglia per una decina di anni. Nel 1468 Jakob Trapp comprò Castel Campo agli Hack per 4000 ducati e riprese l’opera di restauro e ricostruzione iniziata da Graziadeo. I Trapp e i loro capitani si sono occupati del castello per 400 anni, i primi arricchendolo di affreschi, opere d’arte, nuovi locali, una cinta muraria con merli ghibellini, i secondo (tra cui Domenico Onorati e i De Prez) amministrandolo con grande abilità e onestà.
Nel 1891 i Trapp vendettero il castello a Teodoro Rautenstrauch, tedesco di Treviri, che all’architetto Girolamo Sizzo fece costruire una torre ottagonale, abbattere parte di un muraglione che chiudeva a ovest il cortile ed eliminando l’antica scala di legno esterna. Intorno al castello creò una grande azienda agricola dando lavoro per anni a tutta la valle. Dovette però abbandonare Castel Campo alla fine della prima guerra mondiale quando l’Austria perse la guerra e questo territorio ed a lui subentrò una banca Italiana che vendente il castello a Cesare Rasini, Milanese, nel 1920. se ne occupò principalmente il figlio Giovanni, grande appassionato di arte, e la moglie Thea, scultrice, donna di grande umanità e spiritualità. I Rasini affidarono i lavori di restauro all’architetto Livio Provatoli Ghirardini e la decorazione , affreschi in stile liberty che si sono aggiunti a quelli antichi, al pittore Carlo Donati. Nuovi restauri e interventi strutturali importanti si sono resi necessari negli ultimo anni e sono stati eseguiti con il concorsi della Provincia Autonoma di Trento, sotto la direzione dell’architetti Claudio Salizzoni. Una leggenda: Il ragazzo e l’eremita. Si racconta che verso al fine del 1300, Ginevra, figlia del capitano di Castel Scenico, era amata da Aliprando di Castel Toblino, che lei ricambiava, e dal figlio del signore di Castel Campo, un ragazzo violento che lei temeva (forse Marco da Campo, che nel 1393 venne imprigionato per omicidio e poi liberato dopo il pagamento di 200 ducati d’oro). Un giorno il da Campo informato da una spia, aspettò il rivale lungo il sentiero che Aliprando doveva percorrere per incontrarsi con Ginevra.
Lo attesa al Passo della Morte, a picco sul fiume Sarca, e lo pugnalò. Poi, sapendo che Ginevra aspettava il suo amato in una radura vicina, la rapì e la rinchiuse a Castel Campo. Il capitano di Scenico e il conte di Toblino, scoperto l’accaduto, trascinarono il colpevole a Trento in catene, dopo aver liberato Ginevra. Il padre dell’assassino pagò un forte riscatto e riportò il figlio al castello, dove il ragazzo pero vagava fuori di se dannandosi e invocando Ginevra. Il padre mandò a chiamare l’eremita del monte Casale perché tentasse di far rinsavire i figlio e gli facesse chiedere perdono a Dio. L’eremita si mise in cammino ma sorpreso da un temporale, scivolò in un burrone e morì. Il ragazzo si suicidò e pare che nelle notti di luna piena lo si senta piangere e mormorare il nome di Ginevra. Nelle notti di tempesta invece appare l’eremita e i due non si incontrano mai, cosicché l’eremita non riesce mai a compiere il suo dovere e liberare l’anima del ragazzo.