En coprativa

Autore: Arrigo Franceschi

Nel mondo degli acquisti, dominato ormai dall’automazione e dal self-service, anche molte espressioni dialettali e alcuni modi di  comportarsi stanno per scomparire. Penso valga la pena di ricordarne qualcuno, anche per alleggerire il tono di questo notiziario che rischia di diventare troppo serio. 

A fare la spesa in cooperativa mi offro di andare quasi sempre io. In realtà colgo la scusa per potermi bere un paio di bianchi lontano da casa. In cooperativa i punti critici sono due: il banco e la cassa. Cerco di arrivarci quando la coda è ridotta al minimo, eppure qualche ostacolo lo trovo sempre. Al banco trovo una signora, con marito, più o meno della mia età e che conosco bene, che sta dicendo al commesso:
«Tàieme gio setanta grami de panceta enfumegada, de quela crua, che la sia magra!». E il commesso: «èla magra asà ‘sta chi?» – «No, la è masa grasa» – «Alora speta che ‘n taien ‘n alter toch». Mentre viene eseguita questa operazione la signora, sentendo i miei grugniti di protesta, mi guarda e aggiunge: «Che vot, a noaltri la panceta la ne pias magra!». Intanto il taglio è stato portato a termine e il commesso chiede: “Vala ben ‘sta chi?» – «Sì, però me racomando de taiarla fina”. Fatto questo la signora prosegue: “La stemana pasada te me aveve dat en tochet de formai, l’era propi bon, tender e anca saor: ghe n’at amò?’’. E il commesso: «èl questo? » – «No me ricordo, famel tastar». La signora assaggia e dice: «Me par propi quel..», poi si rivolge al marito: «Tàstel anca ti. Che te par?». E il marito: «Sì, sì, l’è quel giust; ton do eti e mez». 

Finalmente la coppia se ne va lungo gli scaffali; io prendo in fretta quello che devo e mi dirigo verso la cassa e qui si verifica il secondo intoppo. C’è un’altra signora, con il carrello pieno zeppo, che sta mettendo le confezioni sul ripiano. Per farlo usa una sola mano perché nell’altra tiene ben stretto il portafoglio e, quindi, l’operazione procede a rilento.
Nel frattempo si presenta dall’altra parte il Luigi “Padarco” col suo sacchetto del pane: sicuramente lui è stato incaricato solo dell’acquisto del pane e, come al solito, non si mette in coda; nonostante le mie reiterate proteste riesce a passare lo stesso e, prima di uscire dalla porta, mi guarda storto e sbotta: “Anca ti! Te ‘mpiante su ‘na lagna che no finìs pu, per do paneti». Intanto la signora di prima ha finito e chiede alla cassiera: «Quant èl?» – «Cinquantaquattro euro e diciotto centesimi. » – «Quant’at dit?». E la cassiera ripete. Poi «Speta,
che gò la moneda». Dopo aver frugato per un bel po’ nelle profondità della borsetta alla ricerca del portamonete che non trova, «E sì che ‘l gh’era!», comincia a contare le monetine. «Vot ‘na borsina?» «No… ma sì, damela». Dopo due o tre minuti (ma mi sembrano ore!), finalmente tutto si conclude. Io me la sbrigo velocemente (anche perché ho il conto aperto…); esco e torno a casa, sicuro di sentirmi chiedere da mia moglie: «Dove sei stato a far la spesa, a Riva?». 

Eppure, tra un prodotto “di banco” e uno preconfezionato, o tra una cassa con l’operatore e una automatica, devo ammettere che scelgo sempre il primo. Alla faccia della fretta… e dell’impazienza.

Fiavé inizio 1900