El cèso dei Rusi

Autore: Arrigo Franceschi

Mi sembra importante ricordare, come testimonianza di un passato che diviene sempre più lontano e rischia l’oblio, alcuni fatti che ho conosciuto attraverso i racconti di mio padre e dei miei zii che li avevano vissuti. 
A Favrio, sul prato detto «alla croce», non lontano da dove poi fu costruito il capitello della Madonna, esisteva un avvallamento chiamato el cèso dei rusi. Tale nome derivava dal fatto che proprio in quel posto erano state un tempo collocate le latrine dei prigionieri di guerra russi. Già nel primo anno di guerra, nel 1914, l’esercito austroungarico aveva catturato in Galizia decine di migliaia di prigionieri che erano stati distribuiti in varie zone dell’impero e quindi anche nella nostra valle. Non ho notizie precise relative agli altri paesi, ma di sicuro erano presenti a Vigo Lomaso, come testimonia don Lorenzo Dalponte in un suo scritto.

A Favrio comunque ce n’erano almeno una trentina ed erano tutti alloggiati nel sottotetto della scuola. L’esercito li impiegava come operai per la realizzazione di strade militari e di trincee. Vale la pena di precisare che per l’ esecuzione di tali opere oltre ai prigionieri
venne precettata anche parte della popolazione civile, quasi esclusivamente donne perché gli uomini validi erano stati richiamati sotto le armi: mia zia Bianca, che nel 1914 aveva diciannove anni, per quasi tutto il periodo della guerra lavorò, assieme ad altre donne di Fiavé e del Bleggio, alle fortificazioni lungo la linea del fronte nella zona di Campi tra Boca de Trat e Cima d’ Oro: un lavoro che non risparmiava a nessuno le fatiche più dure.

Nel nostro Comune furono allora realizzate dai prigionieri due strade che si chiamano appunto «strade dei russi». La prima partiva da Ballino e arrivava a Nardis (la famosa strada «delle zete», perché tutta tornanti); la seconda dal passo di Ballino giungeva in Misone. Il genio militare austriaco era particolarmente efficiente e le strade, soprattutto quella di Misone, furono realizzate con una tecnica quasi perfetta: pendenza costante, tornanti spettacolari, opere di sostegno in muratura a secco così stabili che sono durate fino ai giorni nostri. In realtà la strada di Misone non è mai stata utilizzata né durante la guerra, perché a servizio di una seconda linea, né in seguito perché era troppo pianeggiante per essere percorsa con i brozi e con le tresole e soprattutto, sia per gli abitanti di Favrio sia per quelli di Fiavé e di Dasindo, era troppo lunga rispetto alle vecchie strade. Venne ripristinata, solo nel tratto finale, nei primi anni Settanta quando fu costruito il rifugio.

Ma torniamo a parlare dei russi. Come ho già detto a Favrio erano una trentina, erano alloggiati nel sottotetto della scuola e non erano soggetti ad alcuna sorveglianza; perciò, quando non erano al lavoro, circolavano tranquillamente per il paese senza creare problemi a nessuno. Erano tutti giovanissimi e, come diceva mia zia, dei bei omenazi. Prima di chiudere voglio raccontare un fatto singolare. Mia nonna faceva fermentare le more dei gelsi, numerosissimi a quei tempi per favorire la bachicoltura, e distillava un liquore molto alcolico che, a detta delle mie zie, era buonissimo. Alla domenica si presentavano in casa due prigionieri, salutavano, si sedevano a tavola uno di fronte all’alto; mia nonna portava un litro di questo liquore e due bicchieri; i due si scolavano tutta la bottiglia senza dire una parola, pagavano, salutavano e se ne andavano. 

Con l’entrata in guerra dell’Italia, nell’estate del 1915, tutti i russi che c’erano in valle vennero  spostati in altre zone.