El rebalton

Autore: Arrigo Franceschi

Quando si usa il termine dialettale rebalton si fa riferimento a qualcosa di improvviso e violento che mette tutto sottosopra creando caos e nei nostri paesi questa parola era usata anni fa per indicare quanto successe alla fine della prima guerra mondiale, nel novembre 1918. Nella generale confusione dovuta al ritiro di un esercito e all’arrivo di un altro ci fu un grande caos amministrativo dovuto alla temporanea
assenza di una qualsiasi autorità e questo, anche da noi, diede origine a fatti quantomeno singolari.

Ne riporto qui uno in particolare.

In località Torbiera subito al di là del ponte sul Carera esisteva, e in realtà esiste ancora ristrutturata in tempi recenti e trasformata in case di abitazione, una grandissima costruzione che in origine, probabilmente, era utilizzata per l’essiccazione e la conservazione della torba.
Durante la guerra venne trasformata in un magazzino dove erano conservati i materiali e le attrezzature necessari all’ approvvigionamento delle truppe austriache schierate sul fronte nella zona  del Tofino e del Dos della Torta. Vi era di tutto: generi
alimentari, indumenti, coperte, attrezzi da lavoro ecc.  
Quando gli austriaci si ritirarono dovettero abbandonare praticamente ogni cosa e, in attesa dell’arrivo, che avvenne un paio di giorni dopo, delle truppe italiane, tutto quel ben di Dio rimase incustodito. La popolazione locale non aspettava altro. Da ogni parte, in particolare da Favrio e da Fiavé, si precipitò sul posto con i carri e diede luogo ad un vero e proprio saccheggio. Successero delle scene
incredibili. Quando le mie zie, ed anche mio padre, raccontavano questi fatti a me, che ero fresco di studi, veniva in mente quanto scriveva, in modo esemplare, Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi a proposito dell’ assalto al forno delle grucce in un periodo di carestia: c’era chi, non riuscendo a trasportare un intero sacco di farina, ne rovesciava una parte a terra per poterla caricare sul carro; altri cercavano di sottrarre dai carri altrui quello che era già stato caricato, mentre le donne si strappavano l’un l’altra le cose di mano. Alla mia famiglia questo non capitò perché sul nostro carro era seduto mio padre, che aveva undici anni, con il fucile e quindi nessuno osò avvicinarsi. 

Non so di preciso cosa avessero prelevato i miei parenti in quell’occasione; ricordo, comunque, che in casa nostra, fino a pochi anni fa,
esistevano picconi, badili, legname con scritte in tedesco, una bobina di filo elettrico, alcune coperte con l’ emblema dell’aquila asburgica… 
Un secondo rebalton, meno spettacolare, si verificò nel 1945. Non riguardò il nostro territorio, ma Riva del Garda; qui negli anni ‘44 e ‘45 si era insediato un grosso presidio di truppe tedesche anche perché nelle gallerie della Gardesana Occidentale erano state allestite alcune officine per costruire aeroplani. In città esistevano quindi molti magazzini, depositi e uffici necessari alla gestione di questa attività. Nell’ aprile del 1945 i tedeschi si ritirarono e, in attesa dell’arrivo degli americani, successe quello che era successo circa trenta anni prima alla Torbiera. Non mi hanno mai detto in che modo mio papà e mio zio fossero stati messi al corrente di quanto accadeva.
Di sicuro so che partirono da Favrio col carro, arrivarono fino a Riva e tornarono con un carico di tavoli, sedie, armadi; recuperarono anche una macchina da scrivere, del materiale di cancelleria e persino una motocicletta, che fu subito venduta di nascosto.
Tutti i fatti che ho descritto potranno sembrare, ai giorni nostri, quasi folcloristici, ma erano conseguenza di una situazione drammatica che fu causata dalle guerre e si prolungò anche dopo la loro conclusione. Infatti, dopo entrambi i rebaltoni, ci fu la forte svalutazione della moneta.
Moltissimi dei nostri compaesani che avevano messo da parte, con grande fatica, pochi e sudati risparmi, non importa se fossero corone austriache o lire italiane, si ritrovarono con un pugno di mosche. 

Auguriamoci che questo non si ripeta mai più.