Pascoli e malghe

Autore: Arrigo Franceschi

In passato si è parlato, su questo notiziario, dei pascolie delle malghe presenti nel territorio del nostro Comune e mi ero impegnato ad illustrare, in seguito, come funzionava una malga.

Colgo ora l’occasione di farlo prima di tutto perché si tratta di un argomento molto interessante e anche perché quelli che di queste cose hanno fatto esperienza diretta diventano, purtroppo, sempre meno. Cogorna è una vasta area pascoliva di oltre 200 ettari, a circa 1500 metri di quota, di proprietà della frazione di Fiavé, che da tempi immemorabili e fino ad una quarantina di anni fa era utilizzata come malga. Negli anni Trenta gli stabili furono completamente ricostruiti con criteri modernissimi per quei tempi: cascina, stallone, cisterna per la raccolta dell’ acqua piovana, abbeveratoio, porcilaia ecc.. La cascina, adibita principalmente alla lavorazione del latte, serviva anche come ricovero per i pastori. Si entrava in una grande stanza con un focolare aperto che fungeva da cucina, ma che soprattutto era dedicata alla lavorazione del latte e ospitava gli strumenti necessari allo scopo come caldera, zangola ecc.. Da questa, a sinistra, si passava nella stanza del latte, mentre a destra c’era il magazzino per la conservazione e la stagionatura del formaggio. Ai piani superiori, accessibili da una scala di legno, erano situate due camere una per il casaro e l’altra per i pastori.

La stallone, a monte, era in grado di ospitare oltre cento capi di bestiame e la cisterna, collocata in un avvallamento, raccoglieva tutte le acque piovane e garantiva l’approvvigionamento idrico per gli animali e per tutti gli usi della malga: per quanto fosse pulita l’acqua non si sarebbe potuta certo dichiarare potabile. Malga Cogorna, soprattutto per l’ottima qualità dei suoi pascoli, era un vero e proprio gioiello, anche se presentava, allora come oggi, l’inconveniente piuttosto grave della difficile accessibilità. Il complesso era gestito da una società, composta in pratica da tutti gli allevatori del paese, che corrispondeva alla frazione di Fiavé un certo importo, quasi simbolico, e aveva l’obbligo di provvedere alla costante e accurata manutenzione degli immobili e dei pascoli. Nel periodo di monticazione, della durata di circa ottanta giorni, dalla prima settimana di giugno alla prima settimana di settembre, venivano «caricate» una cinquantina di mucche da latte e altrettante manze o vitelle, complessivamente un centinaio di animali. In realtà per un certo numero di anni, fino al 1945, furono «caricate» solo una settantina di mucche perché le manze e le vitelle venivano condotte in Misone, fino a che quella malga rimase in attività. Venivano inoltre portati in alpeggio anche dai 15 ai 20 maiali, che erano alimentati con il siero, residuo della lavorazione del latte; mentre all’inizio della stagione pesavano circa 3 Kg, alla fine potevano arrivare ad oltre 30 Kg. Venivano poi messi all’ asta in paese e andavano aruba perché erano speciali per l’ingrasso. Il personale impiegato per il funzionamento della malga era, normalmente, di quattro persone: un casaro che, oltre a provvedere alla lavorazione del latte, era il responsabile del buon andamento della struttura; due pastori che erano addetti alla mungitura e alla custodia del bestiame e un ragazzo (detto scoa) che era un po’ il factotum di tutta la compagnia.

La giornata, alquanto impegnativa, iniziava già alle tre del mattino, quando si procedeva alla prima mungitura che durava circa due ore e mezza. Intorno alle sette si usciva al pascolo che veniva esercitato in zone sempre diverse, anche lontane qualche chilometro, come per esempio la busa della nef, per rientare verso le due del pomeriggio. Abitualmente il bestiame veniva allora ricoverato nello stallone e intorno alle cinque si effettuava la seconda mungitura. Nel frattempo il casaro, che era rimasto in malga, aveva provveduto alla lavorazione del latte. La lavorazione del latte era molto diversa e anche molto più faticosa (non c’erano a disposizione le attrezzature sofisticate né tanto meno l’ energia elettrica di oggi) di quella effettuata nei moderni caseifici. Il latte munto alla sera veniva versato in grandi recipienti di alluminio bassi e di forma rettangolare posti nella stanza del latte, un locale apposito, esposto a nord e con tante piccole finestre simili a feritoie, quindi molto fresco, e qui lasciato per tutta la notte per permettere alla panna di affiorare. Al mattino successivo si provvedeva con un attrezzo speciale alla scrematura; la panna raccolta veniva versata nella zangola, una specie di botte che veniva fatta ruotare a lungo e molto velocemente in modo da separare e poi eliminare il siero in eccedenza; alla fine nella zangola restava la massa solida del burro di cui venivano prodotti mediamente circa 6 Kg al giorno. Era il prodotto più pregiato e più deperibile della malga e veniva conferito, circa una volta alla settimana, al caseificio di Fiavé. Il latte scremato, quello della sera, veniva versato assieme a quello intero della mattina in un enorme paiolo di rame, la caldera, e posto sopra il fuoco finché raggiungeva una temperatura di circa trenta gradi centigradi; dopo l’aggiunta di una particolare sostanza detta caglio, il latte veniva ancora rimescolato e progressivamente si consolidava formando la massa che, scolata dalla parte sierosa, costituiva il formaggio. Ne venivano prodotti circa 30 Kg al giorno che venivano conferiti, alla fine della stagione, ai vari soci in proporzione al quantitativo di latte prodotto dalle loro bestie. Qualche volta da quanto rimaneva nella caldera si ricavava, con un ulteriore procedimento di cottura, un certo quantitativo di ricotta che normalmente veniva poi affumicata sopra il focolare. Il siero residuo veniva usato per l’alimentazione dei maiali che ne erano estremamente ghiotti.

Vale la pena di ricordare alcune consuetudini significative. Il primo giorno di monticazione le bestie venivano numerate e una commissione, formata dai dirigenti della società, stimava il loro valore in maniera che si potesse risarcire il proprietario con la somma corrispondente, nel caso fossero morte. Era una forma di assicurazione, sarebbe meglio chiamarla di mutuo soccorso, che sarebbe stata pagata da tutti i soci in proporzione al numero dei capi posseduti. Va tenuto presente che non era affatto raro che qualche bestia fosse vittima di incidenti, soprattutto folgorazioni da fulmini, che in Cogorna erano abbastanza frequenti, tanto che ne rimase vittima anche un pastore. Nel corso della stagione per tre volte, all’ inizio di giugno, luglio ed agosto, il latte prodotto in giornata da ciascuna mucca veniva pesato. Era una specie di cerimonia a cui avevano diritto di assistere tutti i proprietari. Si poteva così calcolare la media di quanto prodotto da ogni singolo capo e stabilire così il quantitativo di formaggio spettante ad ognuno. Normalmente per le bestie da latte la permanenza in malga non costava niente, mentre per quelle asciutte veniva corrisposta alla società una certa cifra.

L’ ultimo anno di monticazione fu, per Cogorna, il 1968. Adesso la malga non esiste più. La casina è stata data in concessione alla S.A.T. di Fiavé e, dopo un pregevole restauro, viene utilizzata come rifugio. I pascoli e lo stallone vengono, saltuariamente, utilizzati per ricoverare un gregge di pecore.

Ringrazio Carlo Benini, Luigi Benini e Geremia Zanini per le informazioni preziose e il materiale che mi hanno gentilmente fornito.