Le campagne di scavo

Autore: Franco Marzatico

La ricerca archeologica e paleoambienale in un sito umido di interesse archeologico, il caso di Favié, La torbiera di Fiavé, posta nelle valli Giudicarie Esteriori a 48 metri slm., allo stato attuale delle ricerche è il sito palafitico del versante meridionale delle alpi che ha fornito la più articolata documentazione per quanto riguarda sia la problematica dei modelli insediativi, sia della cultura materiale dell’età del bronzo.

L’ottimo stato di conservazione degli abbondanttissimi resti archeologici e naturalistici, unitamente alla celere pubblicazione degli esiti delle ricerche stratigrafiche estensive pluriennali, fanno della torbiera di Fiavé un termine di riferimento imprescindibile, a livello internazionale. L’acqua che ha preservato fino a noi le imponenti fondazioni lignee delle palafitte e gli altri resti organici, rende molto impegnative le operazioni di ricerca che si svolgono con l’ausilio di pompe sempre in funzione, onde evitare la rapida sommersione delle trincee di scavo con pareti rese incoerenti dai sedimenti impregnati d’acqua.

Dal punto di vista della documentazione archeologica e naturalistica è di notevole importanza il fatto che rispetto ai fenomeni di erosione risultino di gran lunga preponderanti le deposizini naturali, in un ambiente con un altissimo tasso di umidità, cui si deve l’eccezionale stato di conservazione dei resti strutturali e di tutte le classi di reperti che hanno determinato la notorietà di Fiavé, in particolare quelli in legno. Partendo dal suolo attuale, attraverso scavi, sondaggi e carotaggi, si è evidenziata una sequenza di torbe e limi con spessore massimi di due metri circa, seguiti dai livelliantropici che, potenti fino oltre due metri, sono costituiti da formazioni irregolari – spesso con andamentocumuliforme e lenticolare- di limi, resti vegetali, rifiuti e manufatti. Grazie alle più recenti ricerche si è stabilito che nella formazione della torbiera riveste un ruolo determinante il processo di avanzamento laterale delle formazioni sedimentarie, dalle sponde verso il centro dell’antico lago. Le indagini hanno permesso di definire la più ricca sequenza di materiali (contenitori in ceramica , manufatti lignei e in mettalo e pietra), dell’età del bronzo subalpina e di individuare più fasi d’abitato, distinguendone le diverse metodologie costruttive, adottae contemporaneamente in uno stesso luogo e in tempi successivi in aree topograficamente.

I dati acquisiti appaiono in questo senso risolutivi nell’ambito della controversa teoria delle palaffite che, elaborata a partire dal 1854 dallo svizzero Ferdinand Keller, ha visto confrontarsi generazioni di studiosi sull’ipotesi dell’esistenza o meno di edifici sorretti da pali, realizzati entro specchi d’acqua. A Fiavé si è stabilito che sullo specchio d’acqua, soggetto a varazioni, sorgevano effettivamente delle costruzioni sostenuteda pali che contemporaneamente vi erano anche capanne realizzate all’asciutto. Le prime ricerche sistematiche cui si deve la notorietà di Fiavé sono state condotte nel versante meridionale della torbiera, sotto la direzione di Renato Perini, fra il 1969-1976. In tale fase il campo di indagine si è incentrato , con indagini stratigrafiche estensive, orientate alla scoperta delle principali aree archeologiche,su di una penisola (zona1), sede degli abitati Fiavé 1-2, 6 e orizonte 7, quindi su un’attigua insenatura (zona 2), dove sono stati riconosciuti gli orizonti Fiavé 3-5, nonché sul vicino Dos Gustinaci (zona 3). A partire dal 1981, sempre sotto la direzione di Renato Perini e , successivamente, dello scrivente, con il concorso di un gruppo si specialisti di vari laboratori e università europei si è intrapresa una nuova fase di ricerche interdisciplinari, tutt’ora in corso. Scopo precipuo di tali indagini e la contestualizzazione, nel più ampio panorama della dinamica paleoambientale del bacini lacustre, dei risultati degli scavi condotti nelle aree archeologiche e l’acquisizione di nuove indicazioni sui modelli insediativi e le condizioni di vita negli abitati palafitticoli.

Si tratta in definitiva di allargare il raggio delle conoscenze sulle interrelazioni esistente fra l’ambiente, l’uomo e i suoi villaggi, offrendo nuovi e precisi termini di riferimento per una visione complessiva delle vicendeumane e paesaggistiche. Le nuove ricerche hanno permesso di definire con esatezza i limiti delle aree archeologiche e di individuare una zone d’abitato precedentemente sconosciuta. Analisi do laboratorio hanno inoltre oermesso di appurare che all’interno di capanne erano ricoverate pecore/capre foraggiate con fieno, stoccato sul posto, ed anche con arbusti. La storia delle ricerche sistematiche, promosse a partire dal 1969 dal museo Tridentino di Scienze Naturali e, quindi dal 1976 fino ad oggi, dall’Ufficio Beni Archeologici della Provincia Autonoma di Trento, assume un valore per certi versi paradigmatico, in relazione alle linee di tendenza che si sono progressivamente affermate nell’ambito della ricerca italiana nei siti d’ambiente umido, senza dubbio ispirata, sotto il profilo dell’impostazione metodologica, dalle più consolidate e avanzate esperienze di Svizzera, Germania e Francia.

In questo senso si è infatti passati da una fase iniziale, di preponderante attenzione rivolta alle evidenze emergenti dallo scavo, ad un periodo di analisi più complessive del contesto naturale nel quale si conservano le testimonianze di antica frequentazione.